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Primavera di Sandro Botticelli

Primavera di Sandro Botticelli a cura di Alessio Fucile Storico dell’arte 

Eccoti per un’altra avventura alla scoperta dei significati nascosti nelle opere d’arte dei grandi maestri del passato. Oggi ti presento con piacere la «Primavera» di Sandro Botticelli, dipinta nel 1482-83 e conservata alla Galleria degli Uffizi di Firenze.

Una delle caratteristiche più affascinanti di quest’opera è l’alone di mistero che l’ha sempre accompagnata: ancora oggi risultano incerte la committenza e la datazione, così come il significato che si cela dietro ogni personaggio rappresentato. Quello che è certo è che il dipinto aveva una destinazione privata e che il committente doveva essere sicuramente un personaggio dotto e raffinato: si tratta della prima raffigurazione di divinità pagane a grandezza naturale dell’era post- classica.

Il Botticelli, inserito nella cerchia di intellettuali che gravitava attorno a Lorenzo il Magnifico, fu affascinato dalle teorie neoplatoniche che miravano a una sintesi tra pensiero pagano e religione cristiana, tanto che quest’opera rappresenta la manifestazione più chiara della rinascita del paganesimo antico. Il fine che i pensatori fiorentini desideravano raggiungere era il superamento del dualismo fra mondo ideale e mondo reale al fine di raggiungere una suprema sintesi che si identificava con la perfezione divina.

Botticelli interpreta questi temi con uno stile personale fondato non tanto sul corretto uso della prospettiva o sulla resa plastica delle figure come era allora in voga a Firenze, bensì su una resa originale delle linee di contorno: la sua pittura si risolve in superficie e, alla luce degli insegnamenti neoplatonici, propone un programmatico superamento della realtà in vista del raggiungimento di un mondo ideale. Così come per altri artisti del tempo, quest’aspirazione all’assoluto si traduce nella ricerca di un bello ideale.

La scena si svolge in un giardino delimitato da un boschetto di arance e ricco di piante e fiori di cui si contano almeno cinquecento specie. Sono rappresentati nove personaggi connessi tra di loro secondo un ordine che avanza da destra verso sinistra e le cui proporzioni non scalano in profondità. Le arance richiamano i pomi d’oro del giardino delle Esperidi dove il vento primaverile chiamato Zefiro, qui raffigurato da Botticelli in toni freddi e con le guance rigonfie, si è invaghito della bella ninfa Clori, avvolta da veli trasparenti e colta mentre cerca di sfuggire all’abbraccio dell’amante. Una volta però che riesce a possederla, Zefiro concede a Clori la facoltà di fiorire: così la rappresenta Botticelli, con dei fiori che le escono dalla bocca in anticipazione della sua imminente trasformazione in Flora, divinità che emblematica della Primavera.

La seconda scena infatti rappresenta Flora con il vestito fiorito che avanza verso il centro spargendo i boccioli di rosa che tiene raccolti in grembo. Al centro della tavola, arretrata rispetto alle altre figure, è Venere, dea dell’amore: è vestita con un drappo rosso e sopra di lei è raffigurato il figlio Cupido, bendato. Nella Firenze medicea Venere veniva vista come sublimazione dell’amore profano in amore spirituale, come forza vitale che anima le virtù morali e intellettuali dell’uomo dirigendole verso il bene. Per questo motivo la dea è la più alta tra le figure dipinte, l’unica a portare un diadema e viene raffigurata isolata, inquadrata da una cornice simmetrica di arbusti. Questa dea dell’amore, dunque, sorveglia e dirige gli eventi garantendo quell’armonia che emerge dall’insieme della composizione.

Ecco perché questo dipinto sollecita ad affrontare i giorni e le situazioni con uno sguardo nuovo, quello dell’amore: quando ci sforziamo di vedere ciò che c’è di buono in coloro che ci stanno accanto, i nostri giorni diventeranno più sereni e tranquilli. Amare un’altra persona vuole dire avere interesse per lei, per le gioie ed i dolori; dunque, amare veramente richiede dedicare molto tempo al prossimo.

Ancora più a sinistra si vedono le Tre Grazie mentre danzano; a chiusura del dipinto è raffigurato il giovane Mercurio, messaggero degli dei e per questo con le ali ai piedi, che sembra scacciare le nuvole con il caduceo per preservare un primavera perenne.

L’atmosfera generale dell’opera suggerisce una sorta di apparizione favolosa, sia per l’artificiosa insistenza sui dettagli sia per la nitidezza dei contorni, così come anche per le movenze regolari delle vesti e l’idealizzazione dei bellissimi volti femminili. Le figure sembrano ritagliate dallo sfondo in quanto prive di consistenza e volume; le innumerevoli specie botaniche rappresentate rimandano più al mondo tardogotico che a quello razionale e sintetico del Rinascimento.

Grazie per la tua cortese attenzione.